Dell’artista pagante

Quando mi sono iscritta ad Art Diary prima e a Facebook poi, l’unica cosa che ho ottenuto da subito è stata l’invasione di inviti da parte di sedicenti gallerie, fondazioni, musei, associazioni culturali, enciclopedie di settore, segreterie di fiere, biennali, concorsi e premi internazionali d’arte contemporanea, che chiedevano quote di partecipazione per aderire alle loro iniziative.
Nel panorama dell’arte, esistono personaggi il cui mestiere consiste nel lucrare sulla vanità e sulle speranze degli artisti, proponendo la possibilità di esporre presso questa o quella galleria, quella sede storica, quella fiera prestigiosa, quel premio strettamente selezionato. L’artista sprovveduto verrà persino illuso di essere stato scelto per i suoi meriti, tanto sono ben strutturate queste beffe, salvo poi leggere in grassetto la quota dovuta, le spese a suo carico e l’IBAN su cui effettuare il versamento. Con un doppio effetto: da un lato, chi organizza questo genere di cose si assicura da subito sia la copertura delle spese sostenute che l’utile proprio; dall’altro, dove viene chiesto a chi espone di pagare viene annullata a monte la possibilità di una selezione operata in base a criteri di qualità e di merito; criteri certo sempre relativi, ma comunque lontani dall’impietosa democrazia sancita dal denaro.
Che un artista debba pagare per mostrare il suo lavoro, denota tutta la miseria culturale di un Paese prima, e di chi organizza queste messe in scena poi. I fondi per la cultura sono all’osso, ma chi vuole promuovere l’arte nell’ambito di un progetto di crescita serio sa bene a chi rivolgersi e come muoversi, per sostenere quella che appena oltralpe è una figura professionale (pittore, scultore, fotografo, performer) da tempo riconosciuta e rispettata, oltre che sostenuta dallo Stato. Da noi, invece, l’artista è considerato ancora un nullafacente, che spaccia per professione la messa in scena di squilibri e paturnie. Non voglio tentare una difesa dell’artista; artista è una qualifica troppo generica. Appartengono a questa categoria sia il vanesio a talento zero, che chi sa arricchire il mondo con le sue visioni, aprendo orizzonti impensati.
Resta lo sconforto di un tempo in cui tutto è straordinariamente complicato, in un Paese abituato a millenni di Storia dell’Arte, che ha fatto la fine di chi, stanco di una moglie troppo bella, se la spassa con la prima carampana che gli capita a tiro.