Chi prende un treno veloce pensa solo alla propria meta, dimenticando quella degli altri e tutte le cose lungo il percorso. Gli interregionali attraversano i paesi e si fermano spesso; io li amo per tutto ciò che osservo: per il vecchio che sale senza biglietto, per la signora che fa visita ad una parente con una busta di mozzarelle in mano, per gli indiani stanchi e mansueti, che in estate vanno o tornano dalle spiagge. Durante i miei viaggi in giro per il mondo, ho ricordato sempre poco quelli dove tutto è andato bene. Ho invece sempre rimpianto con più nostalgia quelli in cui un accidente mi ha ricordato la mia impotenza dinanzi ai progetti della vita. Questi treni, questi viaggi dicono: ‘Lascia la via principale, e vai per sentieri’.
L’umanissima debolezza, quando ci si ammala o ci capita un incidente, di nascondersi, di non dire o di mentire, come se la falla fosse un crimine o un’onta, va combattuta e sconfitta. Il fatto è che – diciamolo – di pietà, compassione e soccorso la natura se ne infischia altamente. A lei interessano i forti (non i migliori), in grado di continuare la marcia in avanti della vita. I deboli sono zavorre di cui liberarsi, e una traccia di questo retaggio in noi è purtroppo rimasta. Lo spiega il fatto che verso un malato o un disabile il nostro atteggiamento istintivo è di allontanarcene, quasi a non esserne contaminati. Bisognerebbe invece diventare quel corpo; diventare soprattutto la perdita di speranza che uccide spesso più della paura di morire. E bisognerebbe pure dimenticare il mal tempo all’orizzonte, prendersi il poco di sole che arriva ogni giorno, accorgendosi che esistono momenti di allegria molto più frequenti di quanto non si creda. Non bisognerebbe dire una parola, non un’obiezione, e se si è stati fortunati, si dovrebbe ringraziare per la pienezza di un corpo vivo, per occhi che guardano, passi che vanno e mani che stringono. Di fatto, prima o poi le prove arrivano per chiunque, secondo un criterio di perfetta democrazia che prescinde da età, sesso, cultura, bontà, cattiveria, ricchezza e povertà. Certo, considerando l’ipocrisia del genere umano e le sottili crudeltà di cui sono capaci soprattutto i commiseratori, è opportuno fare attenzione ai nostri confidenti. Molti incarneranno la frase di La Rochefoucald, che dice: ‘Nell’avversità dei nostri migliori amici, troviamo sempre qualcosa che in fondo non ci dispiace.’ Troveremo compagni inattesi, ma pure molti che credevamo vicini, le cui cattiveria e superficialità saranno pari solo alla loro stupidità. Per il resto, è bene ricordare che nei momenti cruciali della vita si è sempre soli. La prova è un corpo a corpo con noi stessi, separati dagli altri, che pure in buona fede e con tutto l’amore ci stanno accanto. Quando ci capita un malanno o un incidente più o meno grave, la prima domanda che ci si pone è: ‘Perché proprio a me?’ Nessuno si chiede invece: ‘Perché non a me?’ Siamo forse migliori degli altri? Nodo karmico? Crash psicosomatico? Vita malsana? Vita ortoressica? Idiozie: incidenti e malattie sono fatti su cui ha poco senso discutere. Provare ad affrontare a meglio il viaggio, allora, è il massimo che si può fare. Se c’è una cosa che la difficoltà ti insegna da subito è fare selezione, per lasciare posto solo alle cose e alle persone cui è essenziale dedicarsi. Accade pure che se già prima si ringraziava per ogni momento presente, dopo, ogni cosa diventa ineluttabilmente preziosa. A nessuno appartiene il momento prossimo, ma la salute, nella sua cecità ce ne toglie consapevolezza. Un acciacco, un incidente o un malanno, al contrario, vengono a ricordarcelo senza tanti giri di parole. Con una sensibilità mai sperimentata prima, l’aria che respiri adesso è immensa, i tuoi polmoni neanche bastano; il tuo grazie per la pienezza della vita ti sembra ancora troppo piccolo, per quanto è glorioso quello che ogni giorno ti viene offerto, e che con fiduciosa armonia si prende cura di te. Un fatto è certo: se la malattia è cambiamento, il cambiamento non è mai una malattia. In ogni momento difficile, personalmente ho sempre trovato ottimismo e speranza guardando gli altri. Soprattutto nei luoghi molto affollati, il caleidoscopio della varietà umana è un insegnamento stupefacente di misura e di pace. Mi hanno aiutato le persone più brutte e persino le più abiette, e naturalmente tutte quelle migliori di me. La mia vicenda mi è apparsa così ogni volta qualcosa di piccolo, necessaria a suo modo alla completezza del mondo. Ogni cosa esiste, curata e guarita dal puro fatto di esistere; in questo va cercata la misteriosa pienezza del suo valore. Raccogliere e sviluppare il potenziale edificatore del crollo. sfruttando soprattutto gli effetti benefici di un malanno: ce ne sono più di quanti non si possa sospettare. Ci accorgiamo così che il tempo che prima ci pareva avaro, è in realtà vasto e generoso. Ne abbiamo tanto, per assetti impensati e nuove messe a fuoco. Il tempo adesso serve a noi: non siamo importanti, siamo fondamentali. Deve darci forza questo: che sempre nella vita le cose che ci sembrano immense, di solito sono solo poco più che grandi.